Il brano che segue è tratto dall’Appendice “Cominciare e finire” alle Lezioni Americane di Calvino, a mio giudizio uno dei libri più mirabili del secolo scorso, da leggere e rileggere all’infinito, perché sempre capace di stimoli nuovi, come solo i grandi libri sanno fare. Qualsiasi commento sarebbe superfluo e fuori luogo. Solo un suggerimento: comperatevi il libro e leggetelo, leggetelo, leggetelo. Lascio la parola a Calvino:
[…] Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare questa sera; per il poeta l’allontanare da sé un sentimento del mondo indifferenziato per isolare e connettere un accordo di parole in coincidenza con una sensazione o un pensiero. L’inizio è anche l’ingresso in un mondo completamente diverso….
[…] Forse è questa ansia per il problema del cominciare e del finire che ha fatto di me più uno scrittore di short-stories che di romanzi, quasi non riuscissi mai a convincermi che il mondo ipotizzato dalla mia narrazione è un mondo a se stante, autonomo, autosufficiente, in cui ci si può installare definitamente o almeno per tempi lunghi. Invece mi prende continuamente il bisogno di prenderlo dal di fuori, questo mondo ipotetico, come uno dei tanti mondi possibili, un’isola in un arcipelago, un corpo celeste in una galassia. Il mio problema potrebbe essere enunciato così: è possibile raccontare una storia al cospetto dell’universo? Come è possibile isolare una storia singolare se essa implica altre storie che la attraversano e la “condizionano” e queste altre ancora, fino a estendersi all’intero universo? E se l’universo non può essere contenuto in una storia, come si può da questa storia impossibile staccare delle storie che abbiano un senso compiuto?
[…] Non ci può essere un tutto dato, attuale, presente, ma solo un pulviscolo di possibilità che si aggregano e si disgregano. L’universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all’interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva. L’opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’universo si cristallizza in una forma, in cui acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in un’immobilità mortale, ma vivente come un organismo”.
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